giovedì 19 marzo 2009

CATANIA VISTA DA REPORT: LA BABILONIA D'ITALIA

Ho seguito domenica sera la trasmissione Report di RaiTre su Catania. Pur ritenendo discutibili gli aspetti della ricostruzione delle vicende legate al dissesto finanziario locale e fatte salve la libertà democratica e quella di informazione, trovo assai increscioso e inopportuno che, a sostegno delle tesi di questo dossier giornalistico, sia stata inserita anche la criminalizzazione della festa di sant'Agata. L'aver tentato di strumentalizzare aspetti della festa con domande che evidenziano non solo maliziosa faziosità, ma soprattutto la radicale ignoranza di un patrimonio culturale che è dato dalla storia delle tradizioni popolari (la festa di sant'Agata sotto questo profilo è la terza al mondo per importanza!) e l'aver ancor di più voluto cercare e trovare in essa la fucina di estorsioni, collusioni e insediamenti mafiosi e quanto altro di tal genere, non torna onorevole per la dignità e la fede che tanti devoti esprimono nei giorni della festa. Prescindendo poi dalle valutazioni di ordine confessionale, come catanese ed anche come devoto di sant'Agata - che di quella immensa folla che indossa il sacco bianco è onorato di far parte - ho sentito pesare oltraggiose, violente e dissacranti le insinuazioni del servizio televisivo sulla mia città e sulla festa della nostra Santa. Le fotografie che ritraggono boss o congiunti di boss che onorano le reliquie della Patrona o ancora i numeri delle tessere del Circolo sant'Agata ed i relativi soci, non possono essere presi a pretesto per una pseudo-indagine che chiama in causa motivazioni talmente estranee ed eterogenee tra loro che sarebbe soltanto frutto di una vera aberrazione il tentarne, in qualsivoglia modo, una identificazione sinonimica. La magistratura catanese e quella siciliana sono molto più esperte ed efficienti di quanto non le si è fatte apparire nel medesimo servizio televisivo. Le operazioni antimafia degli ultimi anni e quelle in corso sono la dimostrazione del successo delle indagini e delle analisi compiute dagli organi giudiziari sulle tristi realtà che affliggono il nostro Paese e la nostra Isola e non hanno certamente, in questa prospettiva, confuso o identificato il dato religioso in senso lato con il fenomeno mafioso, al fine di un migliore successo o di una visibilità che diversamente avrebbero potuto non avere.
I collegamenti ipotizzati tra i vari poteri visibili o latenti e le trame che chiamano indebitamente in causa confraternite, ordini cavallereschi e massonerie fanno pensare più ad una imitazione romanzata alla Dan Brown che ad una esposizione realistica e razionale di problemi sui quali si vuole e si deve sollecitare l'attenzione. Mi rendo anche conto che l'estensione di patenti massoniche (a vilipendio di una gloriosa istituzione che ricorda i felici tempi dell'Illuminismo) riesce indispensabile tanto quanto un posto nella casa del "Grande Fratello" per potersi fare notare! E quella del 3 febbraio infatti, in gergo comune, da noi catanesi viene detta: "a parata da porta Aci". Ed alle parate oggi si è molto sensibili.
Non so se chi ha ispirato tale ricostruzione abbia presente quali in realtà sono i problemi di Catania e dei catanesi. Sono problemi molto meno appariscenti di quelli che si è voluto inscenare, ma molto più profondi e dolorosi. Non sono i problemi dei quintali di cera né quelli delle tessere dei circoli di sant'Agata, né quelli dell'editoria o dei giornali asserviti o peggio dei politici pronti a salire, al momento giusto, sul carro vincente. I problemi di Catania sono anche i problemi interiori ed esistenziali, come quelli che vive ad esempio l'universo giovanile, contenuto in sacche straripanti di popolazione che si divide tra la ricchezza della Catania bene e dei salotti e quella delle zone centrostorico e periferiche dove il minore, privato di quella naturale armonia del crescere è già subito adulto e commette reati da adulto. Il bisogno e la forza di affermazione di una città più volte distrutta e sempre risorta dalle ceneri, non sono mai tramontate, neppure sotto i riflettori "falsi e bugiardi" di chi, sulle sventure altrui, crede di ergersi a moralista o censore. Su una delle porte laterali della cattedrale che custodisce il corpo di sant'Agata, sta la seguente scritta: Noli offendere patriam Agatae quia ultrix iniuriarium est. Si riferisce ad una leggenda che narra l'intenzione di Federico II, nel 1231, di assoggettare la città. Ma questo particolare l'"attento" giornalista, non l'ha notato. Ed anche per questo motivo preferiamo ritenere che le illazioni sulla festa di sant'Agata siano, ancora una volta, il frutto di una ignoranza che, ci auguriamo, vorrà presto colmare.
Maurizio Cosentino

Nessun commento: